FOTOGRAFIA ORIGINALE VINTAGE NATO FRASCà FOTO FRASSINETI TIMBRO INFORMALE REBIS

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  • L’infanzia e l’adolescenza di Frascà sono funestati dalla incarcerazione del padre Paolo Frascà da parte degli occupanti nazisti nella prigione di via Tasso e successivamente dalla morte alle Fosse Ardeatine.[8] La famiglia Frascà, al pari delle altre famiglie romane coinvolte, ha vissuto la lacerante ricerca dei corpi dei congiunti e il loro riconoscimento.[9] Traccia di questo dramma indelebile[10] viene espresso dall’autore nella serie Orrori della guerra.[11] Gli anni ’50: dalla figurazione all’Informale Dopo essersi diplomato al Liceo Classico, si iscrive alla facoltà di Architettura dell'Università La Sapienza di Roma, frequentandola per tre anni; dal 1950 si dedica completamente alla pittura.[12] Nel 1955 vince la borsa di studio per il Corso di Scenografia presso il Centro Sperimentale di Cinematografia, tenuto da Virgilio Marchi.[13] Contemporaneamente collabora con le riviste Bianco e Nero e Filmcritica, dove vengono pubblicati suoi disegni.[14] Dagli inizi figurativi dei primi anni '50, la pittura di Frascà, con influssi da Goya e Rouault, si sviluppa in senso espressionista, sia nei ritratti e nelle composizioni ancora figurative, sia nelle prime composizioni astratte. Nel 1958 si tiene la sua prima mostra personale alla Galleria Schneider di Roma[15] e lo stesso anno vince il suo primo premio, a Milano.[16] Alla fine degli anni '50 e fino al 1960 attraversa un'intensa stagione informale, esponendone gli esiti alla sua seconda mostra personale alla Galleria Odyssia di Roma, presentato dalla critica Marisa Volpi.[17] Gli anni '60: da Parigi, al Gruppo Uno al Rebis Vengono realizzate le serie dei Neri, delle Orme, dei Muri, con uso insistito di neri, grigi, bruni, fitti impasti, graffi, emblemi, ed elementi materici mescolati al colore.[18] Alcune di queste opere vengono dedicate ad Albert Camus, uno dei riferimenti costanti dell'artista.[19] Parallelamente all'attività artistica, Frascà lavora nel cinema come arredatore, costumista, scenografo, collaborando, tra il 1957 e il 1961 con Mauro Bolognini, Carlo Ludovico Bragaglia, Mario Camerini, René Clément, Gianni Franciolini, Raffaello Matarazzo, Dino Risi, Roberto Rossellini.[20] È alla fine del 1960 che risale la prima visita di Giulio Carlo Argan allo studio di Frascà.[21] Ed è grazie all'appoggio di Argan e di Palma Bucarelli, direttrice della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, che Frascà ottiene una borsa di studio del governo francese per giovani artisti.[22] Poco prima della partenza per Parigi viene chiamato da Michelangelo Antonioni, che deve terminare le riprese del film L'eclisse, per realizzare la scenografia dei primi 16 minuti del film.[23] Il soggiorno a Parigi dura un anno, nel quale Frascà ha modo di frequentare l'Atelier 17 di Stanley William Hayter[24], studio di incisione di livello internazionale, dove avevano sperimentato il loro segno artisti come Pablo Picasso e Joan Miró.[25] Ha occasione di conoscere Alberto Giacometti, Alberto Magnelli, Hans Hartung, Alexander Calder, César, Arman, ed in particolare Jean Fautrier, che costituiva per Frascà un punto di riferimento fondamentale; stringe amicizia con i giovani artisti Eduardo Arroyo, Pierre Restany e ritrova Pasquale 'Ninì' Santoro che era stato suo compagno di liceo.[26] Il clima di libertà respirato a Parigi, le occasioni, gli incontri, la possibilità di potersi dedicare completamente all'attività artistica favoriscono un liberarsi del segno, che diviene sempre meno descrittivo e sempre più «energetico-emozionale», come nelle serie dei Tracciati.[27] Successivamente, i percorsi liberati dal segno, tendono spontaneamente a creare e a fluttuale in un proprio «contenitore spaziale» che via via assume una conformazione ovoidale, o ellissoidale, come nella serie degli Ovoidi.[28] Nel 1962, rientrato a Roma con l'amico Santoro, fonda, con Achille Pace, Nicola Carrino, Giuseppe Uncini, Gastone Biggi, il Gruppo 1.[29] Gruppo 1, attivo dal 1962 al 1967, e, dalla fine del 1965 formato da Carrino, Frascà e Uncini[30], ha un'intensa attività teorica, progettuale ed espositiva, nazionale ed internazionale[31]; è supportato da Argan, che, assieme a Bucarelli e a Nello Ponente, cura la presentazione della prima mostra ufficiale del Gruppo, alla Galleria Quadrante di Firenze.[32] Rispetto ai gruppi di ricerca, italiani ed europei, nati a partire dalla fine degli anni '50, Gruppo 1 condivide le necessità della discussione e della ricerca operativa collettive,[33] ma ha una propria specificità; spesso accomunato alle tendenze dell'arte "cinetica" o "optical", se ne discosta sia nell'elaborazione teorica, che nell'uso dei mezzi artistici[34] che, come in Biggi e Frascà (e, prima, in Pace e Santoro) sono in parte quelli "tradizionali" del colore, del pennello e della tela.[35] Frascà, dal 1962, quando la densa materia segnica sembra essersi raffreddata ed appaiono griglie, forme geometriche elementari, larghe campiture di colore,[36] sperimenta colori fluorescenti (che allora erano usati nella segnaletica, anche pubblicitaria) e smalti-argenti (utilizzati principalmente nelle decorazioni per scenografie teatrali).[37] Dal 1963 inizia la serie degli Strutturali, in cui l'intersezione diagonale di linee di colore (talvolta su strisce di carta trasparente) crea delle strutture in cui viene indagato il problema della percezione, della sua ambiguità e delle possibilità percettive che l'opera d'arte mette in movimento nel fruitore.[38] Questa ricerca, partita dal colore e dalla bidimensione, si orienta, negli anni successivi, alla tridimensione e allo studio che la luce determina al contatto con particolari volumi, originati sempre da linee diagonali indagate all'interno del quadrato prima e del cubo poi, dando vita alle serie delle Gabbie e dei Modulari Cubici.[39] Tra il 1965 e il 1966 Frascà realizza il film sperimentale KAPPA, con la fotografia di Alberto Grifi, che «rappresenta il primo importante sforzo (anche dal punto di vista economico e dei tempi di lavorazione) da parte di un artista, di confrontarsi con la macchina-cinema».[40] KAPPA viene girato in due mesi, ma il montaggio ne richiede nove di lavorazione:[41] il discorso narrativo viene frantumato e le immagini dei protagonisti, talvolta colte a loro insaputa durante le riprese, sono interpolate da immagini storiche di repertorio, testi di libri, pagine di fumetti, sequenze da film e programmi televisivi, oppure dilatate con particolari effetti ottici,[42] con quello "sguardo espanso" che contraddistingue e caratterizza il cinema sperimentale.[43] Il trattamento del sonoro, in cui insistono suoni, voci, rumori, il battito cardiaco e il respiro di Frascà, viene affidato al compositore Aldo Clementi,[44] con inserzioni di vocalizzi della figlia Anna, in omaggio a John Cage.[45] Immagini e sonoro compongono un effetto spesso spiazzante e talvolta sono in fuorisincrono: per Frascà infatti KAPPA «è il viaggio senza categorie temporali e spaziali ... di ognuno di noi; che registra, provoca, immagina, vive, reagisce a vari livelli: tanti quanti ne avrà messi in gioco, cioè scatenati».[46] Nel 1966 con la serie degli Strutturali varianti sperimenta la curva nella tridimensione, anche sulla base di studi architettonici effettuati sulla linea di Borromini, costruendo una struttura costituita da strisce di alluminio rivestite di plastica fuorescente e rifrangente, in una serie di doppie curve opposte, concave e convesse;[47] uno di questi esemplari viene esposto alla Biennale di Venezia del 1966.[48] Nel 1967 collabora con Luchino Visconti a La Traviata realizzata alla Royal Opera House di Londra, con Carlo Maria Giulini alla direzione d'orchestra, con protagonisti Mirella Freni, Renato Cioni e Piero Cappuccilli:[49]; è di Frascà la particolare scenografia, tutta in bianco e nero, con rimandi al liberty e al segno di Beardsley.[50] Nel 1967 nasce la serie dei Rebis, una forma scultorea ottenuta dall'unione di quattro delle sei diagonali del cubo che presenta delle sorprendenti possibilità che si offrono alla percezione: una forma continuamente mutevole al variare della posizione dello spettatore.[51] Tra il 1967 e il 1971, dal Rebis «matrice», Frascà sperimenta possibili combinazioni a 2, 3, fino a 9 elementi,[52] ottenute nei più diversi materiali, presentandone gli esiti in una mostra allo Studio Farnese di Roma.[53] Rebis Daedalus II vince il premio di scultura alla Biennale Internazionale del Mediterraneo di Alessandria d'Egitto;[54] un Rebis in acciaio di grandi dimensioni, come esemplificazione di una proposta progettuale architettonica, viene presentato al Festival dei Due Mondi di Spoleto del 1971.[55] Nel 1966 ha la sua prima esperienza didattica, chiamato da Argan, all'Istituto superiore per le industrie artistiche (ISIA) di Roma, al Corso Superiore di Disegno Industriale e Comunicazioni Visive.[56] Tra il 1968 e il 1970 cura la regia di alcuni documentari per la RAI, per le rubriche L'Approdo e Sapere, sia su protagonisti dell'arte e della cultura (Duchamp, Mondrian, Munch, Céline), che su movimenti (Futurismo, Movimento operaio).[57] Per la Olivetti gira il docufilm Informazione leitmotiv - L'informazione è ciò che conta, con protagonista Enzo Jannacci,[58] unico film di fiction, tra gli oltre 400 film e video commissionati dall'azienda.[59] Gli anni '70: dal Kubus al Selbst Dalla sperimentazione sul Rebis, attraverso un processo di «distruzione» e di «smontaggio»,[60] Frascà perviene nel 1972 al Kubus, in cui la riduzione sul piano del cubo, in un segno che è contemporaneamente prospetto e sezione, permette ulteriori ricerche sulle ambiguità percettive,[61] favorite dalla presenza di immagini che conservano segni elementari e di archetipi,[62] in una zona di riflessione sulla virtualità del volume che si muove sempre tra conscio e inconscio.[63] Dal Kubus e da altri elementi scultorei/architettonici, Frascà arriva nel 1974 all'Ambiente Prospettico Polivalente (Percorso per esperienze percettive), una proposta di immersione completa in un'area di 140 metri quadrati per un'altezza di 2,70 metri, composta di un settore bianco e uno nero,[64] in cui lo spettatore viene posto in una costante condizione di dubbio, che ne sollecita l'immaginazione e la ricerca di senso.[65] Tra il 1974 e il 1975 propone le sue ricerche in viaggi in Germania ed in Olanda, dove realizza un modello dell'Ambiente Prospettico Polivalente in scala 1:4 presso lo Stedelijk Museum di Amsterdam.[66] Nel 1975 una mostra itinerante, accompagnata da un impegnativo catalogo, presenta le ricerche svolte tra il 1960 e il 1975;[5] la mostra, tra Roma, Merate, Sanremo, Verona, Como, viene presentata da critici e amici, con dibattiti e performance.[67] Le opere stesse sono infatti dichiaratamente più vicine all'idea dei modelli di ricerca e di indicazioni metodologiche,[68] cioè di progetto, sulle quali discutere e confrontarsi, che alla concezione tradizionale dell'opera d'arte, conclusa e chiusa in se stessa.[69] Tra il 1975 e il 1976 Frascà partecipa ad Operazione Arcevia: il progetto, nato dall'iniziativa dell'architetto Ico Parisi, dell'imprenditore Italo Bartoletti e dei critici Enrico Crispolti e Pierre Restany, consiste nella ideazione di una comunità, che si sarebbe dovuta realizzare in un territorio situato vicino ad Arcevia, un piccolo comune nella provincia di Ancona, attraverso le idee e la collaborazione di pittori, scultori, musicisti, architetti, scrittori, storici dell'arte, psicologi, istituzioni locali.[70] I progetti, cui contribuiscono, tra gli altri, il regista Antonioni, lo sceneggiatore Tonino Guerra, i musicisti Aldo Clementi e Francesco Pennisi, gli artisti Alberto Burri, Carrino, Mario Ceroli, César, Arman, Jesús-Rafael Soto, Francesco Somaini, Mauro Staccioli, lo psicologo Antonio Miotto e il sociologo Aldo Ricci, vengono presenti alla Biennale di Venezia del 1976.[71] Frascà progetta un Ritiro laico ed un Labirinto-percorso per accedervi.[70] Tra il 1976 e il 1977 Frascà costituisce con Paolo Minoli e Antonio Scaccabarozzi il gruppo operativo Interrogazione sistematica.[72] Il gruppo intende, nei propri interventi, operare come si dovesse procedere alla rifondazione di un «ordine del discorso», alla radice del problema del linguaggio della visione, e dove le opere costituiscono uno stadio all'interno di un'operazione «didattica», che espone il proprio processo formativo, orientata alla ricerca di un nuovo spazio-ambiente, su cui interrogarsi e in cui potersi riconoscere.[73] Interrogazione sistematica partecipa a vari interventi, esposizioni e iniziative collettive, tra cui una nella comunità di Gallignano, dove un gruppo di artisti e cittadini ha utilizzato un chiesa sconsacrata per iniziative culturali, e all'esterno della quale Frascà realizza Pala d'altare, un parallepipedo virtuale di grandi dimensioni.[74] Dal 1975 Frascà intraprende stabilmente l'attività didattica, prima all'Accademia di Belle Arti di Carrara, dove tiene il corso di Didattica Artistica,[75] poi, dal 1977, in quella di Roma, dove sarà titolare dell'insegnamento di Teoria della Percezione e Psicologia della forma fino al 1998.[76] Nel 1977 con il GRUPPORIPETTA di Roma espone una serie di progetti e di oggetti di uso comune, «come proposta di Anti-design».[77] Nel 1978 una mostra alla Galleria Lorenzelli di Bergamo e successivamente alla Sala comunale d'arte contemporanea di Alessandria, presenta le ricerche successive all'Ambiente, in cui inizia ad accompagnare le opere esposte con dichiarazioni, testi, messaggi.[78] L'intento di Frascà è sempre più quello di proporre gli aspetti e le strade della sua ricerca aperta nel suo farsi, presentandone i poli di riflessione: i Miti (in particolare le coppie Narciso - Eco, Orfeo - Euridice, Teseo - Arianna, Arianna - Dioniso)[79], tra cui una serie dedicata ai Narcisi; le figure legate agli Specchi e figure al limite, quali le Cerniere, le Feritoie, come Soglie; le Frecce, gli Ambienti-Freccia e i Labirinti.[80] Nell'esposizione romana Artericerca '78 presenta Labyrinthus III, una grande installazione in due sale del Palazzo delle Esposizioni, con grandi specchi spezzati posti a terra, e un camminamento al termine del quale lo spettatore, attraverso delle corde, poteva orientare uno specchio posto in verticale: un ambiente in cui venivano intrecciati i miti di Narciso e Orfeo,[81] secondo la pratica, già iniziata nel 1967, delle Orfeizzazioni, in cui la distruzione e/o smembramento dell'immagine non portano alla sua perdita, ma, attraverso la sua moltiplicazione, a nuove possibili ricomposizioni.[82] Nello stesso anno conclude SOGLIE, suo secondo film sperimentale, dedicato a Luchino Visconti, in cui sono montati materiali girati a partire dal 1968, quali «reperti esistenziali».[83] Presentato a Volterra, al Festival del Cinema d'Artista, verrà da allora proiettato assieme a KAPPA.[84] Dal 1978 realizza un ciclo intitolato Selbst (dal termine junghiano, traducibile con Sé),[85] che presenta l'anno successivo a Forlì, in cui la parola viene incisa, graffiata, sovrapposta, in opere composte con materiali quali carta, scotch, pietra grezza, specchi, plastica, metallo, oro, ferro, rame.[86] Gli anni '80: dalle Due Tavole apparecchiate alla Psiconologia Nel 1980, partecipando a Forlì alla collettiva L'Arte è ciò che le è estraneo,[87] presenta le installazioni Due Tavole apparecchiate, accompagnate da uno scritto a colori sul muro: una, la Tavola del naturale, è una tavola apparecchiata per sei persone, coperta da un telo di cellophane, con un vassoio di frutta al centro, che deperirà durante il tempo della mostra, fotografata ogni giorno tramite polaroid; l'altra, la Tavola dell'artificiale, contiene alcuni oggetti-reperti (gomitoli, fili, un bastone, oggetti con specchi).[88] Parallelamente alla attività di docente di Accademia, la partecipazione di Frascà alla vita artistica, a partire dagli anni '80, si allontana sempre più dai meccanismi tipici del mercato dell'arte (produzione artistica-occasione espositiva-vendita) per limitarsi ad interventi, tramite installazioni, o performance, o scritti, esemplificativi di una riflessione sul significato dell'arte, tra "natura" e "artificio", e sul ruolo che l'artista può assumere.[89] Con alcuni allievi delle Accademie di Roma e Firenze costituisce il Gruppo CREO[90], con il quale realizza il film-inchiesta IDENTIKIT: analisi di un'esperienza pilota.[91] Girato in tre mesi in una scuola elementare di Follonica, il film indaga l'effetto dei cartoni animati giapponesi sui bambini e le possibilità alternative di strumenti che favoriscano la fantasia e la libertà immaginativa.[92] A partire dal 1982 si dedica ad una serie di ricerche che comprendono elementi di psicologia, psicoanalisi, psicosomatica, filosofia, assieme alla storia e teoria dell'arte, indirizzati allo studio degli aspetti psicologici che danno vita all'Icona e che Frascà proporrà col termine Psiconologia.[93] Contemporaneamente a questo indirizzo teorico, propone e sviluppa coi suoi allievi dell'Accademia la pratica dello Scarabocchio degli Adulti.[94] A partire dalla analisi del segno, così come si è conformato nel proprio percorso artistico, e che ha minuziosamente descritto nei suoi diari di lavoro, Frascà rintraccia una «linea latente»,[95] esistente nelle produzioni artistiche, in cui, tra Arte e Psicologia del profondo, è possibile analizzare il segno come un «testimone simultaneo delle emozioni», un «messaggero delle stratificazioni profonde», un punto di contatto tra conscio e inconscio, e dunque anche come diretto indicatore di pulsioni, stati d'animo, «spinte energetico-emozionali», traumi.[96] Attraverso quindi la pratica chiamata Scarabocchio degli adulti, è possibile invitare i soggetti (anche che non abbiano competenze artistiche), sotto precise condizioni, tramite specifici materiali e secondo determinate serie, a tracciare e liberare/scaricare sequenze di segni; l'analisi di tali serie può permettere, attraverso una decodificazione, la lettura di blocchi, traumi, di punti di crisi fisiche od emotive, che possono risalire sino al periodo prenatale.[97] Tra il 1983 e il 1984 lavora alla scultura Finestra dell’Apocalisse – Fontana della Gaja Scienza, iniziata anche a seguito della suggestione di un viaggio all'isola di Patmos, dove Giovanni Evangelista scrisse l'Apocalisse.[98] L'opera, in ottone fuso a cera persa, presentata alla Mostra del Gioiello Valenzano del 1984, è formata da 119 elementi-immagini che compongono un complesso «oggetto simbolico», «luogo di passaggio dall'inconscio al conscio», «Caos di intersezioni», in cui liberamente poter trovare il proprio percorso.[99] Viene invitato da Franco Fornari (allora direttore dell'Istituto di Psicologia della Università Statale di Milano) al convegno Psicoanalisi-Arte-Persona,[100] dove presenta le sue ricerche sulla Psiconologia, assieme alla Finestra-Fontana e al film KAPPA.[101] Tiene a Roma corsi e seminari presso l'IPA-SUR (Istituto di Psicoterapia Analitica e Sophia University di Roma)[102] e nel 1986 la prima esperienza psicoterapeutica presso la Comunità terapeutica MAYEUSIS di Capena.[103] Nello stesso anno presenta a Badgastein, all'ottavo Congresso della International Society of Prenatal Psychology, una relazione sullo Scarabocchio degli Adulti e sulla Psiconologia, come mezzi per sviluppare un'analisi caratteriale e come strumenti terapeutici.[104] Nel 1987 è invitato a far parte del Direttivo della S.I.A.P. (Società Internazionale di Antropologia del Prenatale) e inizia a svolgere seminari rivolti a docenti delle scuole materne ed elementari di Roma.[103] Sul rotocalco Domenica del Corriere esce un'intervista sullo Scarabocchio, in cui Frascà illustra la propria attività, descrive la metodologia seguita e in cui vengono pubblicati alcuni degli Scarabocchi tracciati dai praticanti.[105] Gli anni '90: dall'Estetica all'Etica-est Nell'intervista alla Domenica del Corriere aveva chiarito come la sua impostazione didattica non fosse quella di voler creare una "scuola", né di voler creare degli "artisti", quanto piuttosto quella di voler «aiutare la persona a conoscersi».[105] Negli interventi teorici afferma come compito dell'Arte possa essere sempre più quello di evolvere per «trasformarsi da pratica estetica a pratica etica»[106] portando il fine dell'Arte «da est-etico in etico-est»[107], in cui l'Artista, più sarà in grado, nella sua ricerca, di risalire al proprio segno originale, e al proprio nucleo energetico, più sarà in grado di «guardare oltre», assumendosi «quella responsabilità etica che gli permette, attraverso le proprie azioni espressive, di aiutare la creatura umana a riattivare il suo stupore di fronte al mondo».[108] Nel 1990 partecipa attivamente al Movimento della Pantera, intervenendo a riunioni con studenti e docenti, rivolgendosi in particolare alle proposte di ipotesi di riforma delle Università e specificamente delle Accademie di Belle Arti.[109] Nel giugno del 1991, presso il Picasso Cafè di Roma propone OLTREPASSIAMOCI: VENTINTERVENTI (in venti giorni) di Nato Frascà come accumulazione di reperti in/condizionati e di/sparati dedicati al PAN di PICASSO, in cui, con interventi e performance, presenta, anche intervenendo sulle pareti del locale, opere e materiali disparati, datati tra il 1965 e il 1991, come «reperti di archeologia rituale»:[110] tra una questi, alcuni Altarini, opere in cui, sotto l'apparente futilità di «oggetti d'affezione»[110], sono concentrati paradosso ed ironia, indicativi, per frammenti, di una profonda riflessione filosofica ed artistica.[111] Nello stesso anno al cinema Labirinto di Roma si tiene una Rassegna di film e video di Frascà, presentati dal critico Mario Verdone e dal Maestro Gian Paolo Berto, docente e collega dell'Accademia di Belle Arti di Roma.[112] Nell'occasione viene esposto un ciclo di opere dedicate all' Estasi di santa Teresa del Bernini: si tratta di una serie di tavole in cui, partendo dall'«evento» dell'incontro e visione dell'opera barocca, si compie una «estrapolazione del totale», per catturare l'«intensità dei vari centri propulsori» dell'opera e la «corrente energetica» che vi scorre.[113] Conosce l'epistemologo Ervin László e da questi viene invitato nel 1992 a far parte del Club di Budapest; diventa membro della Global Cooperation for the Better World e successivamente collaboratore dell'International Committee for Integral Science e del General Evolution Research Group.[114] Si avvicina al Pensiero olistico, alle "Scienze di frontiera" e alla Psicologia transpersonale (Stanislav Grof),[115] in un tentativo, tra Arte, Scienza, Psicologia del profondo, di fondere conscio e inconscio, creatività e razionalità, quotidianità del vivere e spiritualità.[116] Fonda l'Associazione Culturale Costellazione ANDROS, che intende promuovere e sviluppare manifestazioni artistiche e ricerche «nello spirito del Pensiero Globale e dell'Alleanza Olimpica (Arte-Scienza-Spiritualità)».[117] Nell'aprile del 1994, su invito di un allievo iracheno, compie un viaggio in Iraq, allora sotto l'embargo internazionale, contestuale e successivo alla Guerra del Golfo, dove ha modo di conoscere artisti, uomini di cultura e stabilire contatti con l'Accademia di Belle Arti di Baghdad, con il Museo d'Arte Contemporanea, il Centro d'Arte Saddam e l'Università di Baghdad.[118] Contro l'embargo all'Iraq promuove, a maggio, con l'Associazione ANDROS e in collaborazione con l'Associazione Un ponte per Baghdad, la manifestazione Mille e uno tubetti di colore per Baghdad: mostre di pittura e scultura di artisti italiani e arabi, spettacoli di danza orientale e occidentale, letture di poesie italiane e arabe, fotografia, teatro, e il cui ricavato viene utilizzato per inviare materiali artistici agli allievi dell'Accademia di Baghdad.[119] Nello stesso anno, con 25 studenti e giovani dell'Associazione ANDROS, dopo un seminario di preparazione svolto nell'isola di Alicudi, compie il secondo viaggio in Iraq, invitato, in rappresentanza dell'Italia, al Festival internazionale di Babilonia[120]. Un diario del viaggio, durato venti giorni, viene pubblicato nel mese di dicembre sulla rivista D'ARS, in cui vengono ricordati l'attraversamento del deserto tra Amman e Baghdad, la partecipazione alle mostre e le performance presso il Museo d'Arte Contemporanea e il Saddam Center, gli incontri con gli artisti iracheni, la visita ad ospedali (con dono di materiali medici), rifugi e luoghi sacri colpiti dalla guerra, la partecipazione al 6º Festival internazionale di Arte, Musica e Spettacolo di Babilonia.[121] Nel 1996, ancora sulla rivista D'ARS, viene pubblicato un intervento di Frascà, in cui riassume eventi e ragioni della sua "militanza" artistica e annuncia il proprio ritorno sulla scena espositiva.[122] Nel 1998 presso la Galleria Civica d’Arte Contemporanea di Termoli si tiene la mostra retrospettiva Gruppo Uno: 1962-1967 e gli anni Sessanta a Roma,[123] dove l'attività del Gruppo viene ricostruita, anche attraverso la pubblicazione di documenti e interviste agli artisti, e criticamente valutata «come un'autentica proposta di libertà», «esperienza non sempre indolore o facilmente aproblematica che è un costante mettersi in gioco, un continuo trasmettere e ricevere sensazioni, emozioni, valori, conflitti e principi universali, come segni del nostro passaggio».[124] Nel maggio dello stesso anno viene pubblicato L’Arte, all’ombra di un’altra luce. Viaggio nello Scarabocchio degli adulti attraverso la Psiconologia[125] il volume che esprime e riassume l'intero percorso intellettuale e artistica di Frascà. Nella prefazione Pierre Restany presenta il testo come un «contributo alla rivoluzione della verità», «nell'universo di un'estetica in mutazione sotto il segno della transustanziazione dal bello al vero».[126] Ad ottobre Frascà partecipa al convegno Sinestesia: potenziali umani per l'arte del vivere, dove tiene la relazione La linea latente,[127] in cui, a partire «da una messa a fuoco del rapporto esistente fra Arte e Psicologia del Profondo», presenta, sulla base della propria esperienza artistica, il senso delle proprie ricerche sullo Scarabocchio degli adulti, come un tentativo di «creare una zona ermeneutica» nel «confine pauroso che separa conscio da inconscio»; un compito da realizzare come «fosforescenti contrabbandieri che trasfugano l'invisibile verso il visibile», come «traghettatori. Caronti di noi stessi».[128] Realizza un ciclo di opere, già iniziato nel 1996, dal titolo Orizzonte dei Confini: «un titolo e un luogo», che può riassumere una ricerca «fatta di continui sguardi e oscure tensioni» e dei tentativi di oltrepassare quelle «nette linee di demarcazione che distinguevano i territori della conoscenza», alla ricerca di quei «campi interferenziali ed emozionali che ci attraversano continuamente e ci in-formano».[129] Nel nuovo millennio, come a riavvolgersi La notte di Niccodemo "...per spirito ed acqua", ispirata ad un brano dal Vangelo di Giovanni,[130] apre il nuovo Millennio di Frascà, dove, da un magma caldo e pastoso, emergono e scorrono «colori freddi e acuti da schermo televisivo» in un brulichio intermittente, orizzontale e verticale.[131] Dal 2000 si realizzano una serie di mostre antologiche, che ripercorrono il cammino dell'artista dalla fine degli anni '50 in poi, a partire da quella tenuta alla Galleria Il Tempo Ritrovato di Roma: qui viene per la prima volta esposto il modello dell'Ambiente prospettico polivalente, rimasto ad Amsterdam dalla metà degli anni '70.[132] Nelle opere più recenti presentate, la curatrice e amica Giovanna dalla Chiesa rileva «la solarità mediterranea di un respiro vitale che ha invaso corpo e anima».[133] Sempre a Roma, nel 2001, alla Galleria Rumma si tiene una retrospettiva di grafica e disegni[134] e a Velletri vengono esposti, in due sedi, dipinti e sculture dal 1961 al 2001, con testi di Giovanna dalla Chiesa e Giuseppe Appella.[135]. Nel 2004 a Firenze, alla Galleria Santo Ficara, una nuova mostra antologica Da Frascà a Frascà di dipinti, disegni, strutture dal 1959 al 2003,[136] cui si affianca un incontro con gli allievi dell'Accademia di Belle Arti con proiezione di KAPPA e dibattito, presentato dall'amico pittore e regista d'avanguardia Andrea Granchi.[137] Nel catalogo viene pubblicata una lunga intervista in cui Frascà ripercorre temi, personaggi, luoghi, opere, di tutto il suo percorso artistico[138], preceduta da una nuova presentazione di Giovanna dalla Chiesa: «Come il filosofo, come il fisico, come lo psicologo, ma anche e soprattutto come il bambino e come il poeta, Frascà è andato alla ricerca, in tutti questi anni, della forma matrice, dell'archetipo primordiale, ovvero degli esordi».[139] Il 7 settembre delle stesso anno due operatrici italiane dell'organizzazione Un Ponte per..., Simona Pari e Simona Torretta e due colleghi iracheni dell'organizzazione Intersos, Ra'ad Ali Abdul-Aziz e Mahanaz Bassam, vengono sequestrati[140] e tenuti poi in ostaggio per 21 giorni. Simona Torretta era stata allieva di Frascà e aveva fatto parte del gruppo in viaggio a Baghdad del 1994.[141] Presso l'Accademia di Belle Arti di Roma si forma un gruppo di sostegno alle iniziative per la liberazione degli ostaggi;[142] dall'8 al 19 settembre vengono mostrate fotografie e filmati realizzati da Frascà e dagli studenti nel viaggio del 1994 ed esposto uno striscione in cui le ragazze sono ringraziate «per averci insegnato a trasformare l'arte in vita»[143] Dopo la liberazione, avvenuta il 28 settembre, intervistato dal settimanale Oggi, Frascà descrive l'esperienza vissuta in Iraq nel 1994, assieme a impressioni e ricordi, in particolare sulla partecipazione e l'entusiasmo della sua allieva.[144] Nello stesso settimanale, il mese successivo, Frascà illustra le ricerche sullo Scarabocchio degli adulti; nell'articolo-intervista, riferisce anche del percorso compiuto per analizzare e comprendere il proprio segno, sulla base del quale iniziò poi ad individuare un'ipotesi, scientifica, di lettura dei flussi emozionali ed energetici, quando, come negli Scarabocchi, possano comparire come scarico non mediato e pienamente autentico.[145] Nel 2005, alla Galleria del Mascherino di Roma vengono presentate opere di Frascà del periodo del Gruppo 1 (1962-67).[146] Alla serie di esposizioni antologiche, in questi primi anni del Duemila, corrisponde, dal punto di vista artistico, una ripresa di alcuni dei temi affrontati negli anni '60: nella serie dei Neostrutturali, come nelle nuove edizioni degli Strutturali varianti, Frascà torna alle qualità e quantità percettive della metà degli anni '60; così come torna al Rebis matrice, con una nuova edizione esposta ad una mostra a Giffoni Valle Piana,[147] oggi al Museo della scultura contemporanea di Matera.[148] E ancora al «disorientamento percettivo» e al riferimento borromioniano, si ispirano il ciclo delle Panoplie e dei Nottagoni, in cui la «perdita di gravità» si incontra con le «pulsazioni cromatiche» e i «vortici di energia» lungamente studiati in Cézanne.[149] L'ultima opera di Frascà è una mattonella in cotto, dipinta per il Museo Epicentro di Barcellona Pozzo di Gotto, che custodisce pezzi unici di oltre 900 artisti.[150] Se il Millennio si era aperto con La notte di Niccodemo, il 1º aprile termina, lasciando un incompiuto "Battesimo": Giovanni, il Battesimo - omaggio a Piero della Francesca,[151] in cui, in un'unica opera, oltre spazio e tempo, appaiono il Battista e l'Evangelista, a partire dal Battesimo e dal San Giovanni di Piero della Francesca. L'attività artistica di Frascà si chiude quindi con un Battesimo: una nascita, una ri-nascita, secondo ciò che l'autore ha voluto esprimere e condensare, araldicamente, nel proprio "motto", o "impresa", «divisa fondamentale»: «Vado-Verso-Dove-Vengo».[152]

    L’infanzia e l’adolescenza di Frascà sono funestati dalla incarcerazione del padre Paolo Frascà da parte degli occupanti nazisti nella prigione di via Tasso e successivamente dalla morte alle Fosse Ardeatine .[8] La famiglia Frascà, al pari delle altre famiglie romane coinvolte, ha vissuto la lacerante ricerca dei corpi dei congiunti e il loro riconoscimento.[9] Traccia di questo dramma indelebile[10] viene espresso dall’autore nella serie Orrori della guerra .[11]

    Gli anni ’50: dalla figurazione all’Informale

    Dopo essersi diplomato al Liceo Classico, si iscrive alla facoltà di Architettura dell'Università La Sapienza di Roma, frequentandola per tre anni; dal 1950 si dedica completamente alla pittura.[12] Nel 1955 vince la borsa di studio per il Corso di Scenografia presso il Centro Sperimentale di Cinematografia , tenuto da Virgilio Marchi .[13] Contemporaneamente collabora con le riviste Bianco e Nero e Filmcritica , dove vengono pubblicati suoi disegni.[14] Dagli inizi figurativi dei primi anni '50, la pittura di Frascà, con influssi da Goya e Rouault , si sviluppa in senso espressionista, sia nei ritratti e nelle composizioni ancora figurative, sia nelle prime composizioni astratte. Nel 1958 si tiene la sua prima mostra personale alla Galleria Schneider di Roma [15] e lo stesso anno vince il suo primo premio, a Milano .[16] Alla fine degli anni '50 e fino al 1960 attraversa un'intensa stagione informale, esponendone gli esiti alla sua seconda mostra personale alla Galleria Odyssia di Roma , presentato dalla critica Marisa Volpi .[17]

    Gli anni '60: da Parigi, al Gruppo Uno al Rebis

    Vengono realizzate le serie dei Neri , delle Orme , dei Muri , con uso insistito di neri, grigi, bruni, fitti impasti, graffi, emblemi, ed elementi materici mescolati al colore.[18] Alcune di queste opere vengono dedicate ad Albert Camus , uno dei riferimenti costanti dell'artista.[19] Parallelamente all'attività artistica, Frascà lavora nel cinema come arredatore, costumista, scenografo, collaborando, tra il 1957 e il 1961 con Mauro Bolognini , Carlo Ludovico Bragaglia , Mario Camerini , René Clément , Gianni Franciolini , Raffaello Matarazzo , Dino Risi , Roberto Rossellini .[20] È alla fine del 1960 che risale la prima visita di Giulio Carlo Argan allo studio di Frascà.[21] Ed è grazie all'appoggio di Argan e di Palma Bucarelli , direttrice della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma , che Frascà ottiene una borsa di studio del governo francese per giovani artisti.[22] Poco prima della partenza per Parigi viene chiamato da Michelangelo Antonioni , che deve terminare le riprese del film L'eclisse , per realizzare la scenografia dei primi 16 minuti del film.[23] Il soggiorno a Parigi dura un anno, nel quale Frascà ha modo di frequentare l'Atelier 17 di Stanley William Hayter [24] , studio di incisione di livello internazionale, dove avevano sperimentato il loro segno artisti come Pablo Picasso e Joan Miró .[25] Ha occasione di conoscere Alberto Giacometti , Alberto Magnelli , Hans Hartung , Alexander Calder , César , Arman , ed in particolare Jean Fautrier , che costituiva per Frascà un punto di riferimento fondamentale; stringe amicizia con i giovani artisti Eduardo Arroyo , Pierre Restany e ritrova Pasquale 'Ninì' Santoro che era stato suo compagno di liceo.[26] Il clima di libertà respirato a Parigi, le occasioni, gli incontri, la possibilità di potersi dedicare completamente all'attività artistica favoriscono un liberarsi del segno, che diviene sempre meno descrittivo e sempre più «energetico-emozionale», come nelle serie dei Tracciati .[27] Successivamente, i percorsi liberati dal segno, tendono spontaneamente a creare e a fluttuale in un proprio «contenitore spaziale» che via via assume una conformazione ovoidale, o ellissoidale, come nella serie degli Ovoidi .[28] Nel 1962, rientrato a Roma con l'amico Santoro, fonda, con Achille Pace , Nicola Carrino , Giuseppe Uncini , Gastone Biggi , il Gruppo 1 .[29] Gruppo 1 , attivo dal 1962 al 1967, e, dalla fine del 1965 formato da Carrino, Frascà e Uncini[30] , ha un'intensa attività teorica, progettuale ed espositiva, nazionale ed internazionale[31] ; è supportato da Argan, che, assieme a Bucarelli e a Nello Ponente, cura la presentazione della prima mostra ufficiale del Gruppo, alla Galleria Quadrante di Firenze .[32] Rispetto ai gruppi di ricerca, italiani ed europei, nati a partire dalla fine degli anni '50, Gruppo 1 condivide le necessità della discussione e della ricerca operativa collettive,[33] ma ha una propria specificità; spesso accomunato alle tendenze dell'arte "cinetica " o "optical ", se ne discosta sia nell'elaborazione teorica, che nell'uso dei mezzi artistici[34] che, come in Biggi e Frascà (e, prima, in Pace e Santoro) sono in parte quelli "tradizionali" del colore, del pennello e della tela.[35] Frascà, dal 1962, quando la densa materia segnica sembra essersi raffreddata ed appaiono griglie, forme geometriche elementari, larghe campiture di colore,[36] sperimenta colori fluorescenti (che allora erano usati nella segnaletica, anche pubblicitaria) e smalti-argenti (utilizzati principalmente nelle decorazioni per scenografie teatrali).[37] Dal 1963 inizia la serie degli Strutturali , in cui l'intersezione diagonale di linee di colore (talvolta su strisce di carta trasparente) crea delle strutture in cui viene indagato il problema della percezione, della sua ambiguità e delle possibilità percettive che l'opera d'arte mette in movimento nel fruitore.[38] Questa ricerca, partita dal colore e dalla bidimensione, si orienta, negli anni successivi, alla tridimensione e allo studio che la luce determina al contatto con particolari volumi, originati sempre da linee diagonali indagate all'interno del quadrato prima e del cubo poi, dando vita alle serie delle Gabbie e dei Modulari Cubici .[39] Tra il 1965 e il 1966 Frascà realizza il film sperimentale KAPPA , con la fotografia di Alberto Grifi , che «rappresenta il primo importante sforzo (anche dal punto di vista economico e dei tempi di lavorazione) da parte di un artista, di confrontarsi con la macchina-cinema».[40] KAPPA viene girato in due mesi, ma il montaggio ne richiede nove di lavorazione:[41] il discorso narrativo viene frantumato e le immagini dei protagonisti, talvolta colte a loro insaputa durante le riprese, sono interpolate da immagini storiche di repertorio, testi di libri, pagine di fumetti, sequenze da film e programmi televisivi, oppure dilatate con particolari effetti ottici,[42] con quello "sguardo espanso" che contraddistingue e caratterizza il cinema sperimentale .[43] Il trattamento del sonoro, in cui insistono suoni, voci, rumori, il battito cardiaco e il respiro di Frascà, viene affidato al compositore Aldo Clementi ,[44] con inserzioni di vocalizzi della figlia Anna, in omaggio a John Cage .[45] Immagini e sonoro compongono un effetto spesso spiazzante e talvolta sono in fuorisincrono: per Frascà infatti KAPPA «è il viaggio senza categorie temporali e spaziali ... di ognuno di noi; che registra, provoca, immagina, vive, reagisce a vari livelli: tanti quanti ne avrà messi in gioco, cioè scatenati».[46] Nel 1966 con la serie degli Strutturali varianti sperimenta la curva nella tridimensione, anche sulla base di studi architettonici effettuati sulla linea di Borromini , costruendo una struttura costituita da strisce di alluminio rivestite di plastica fuorescente e rifrangente, in una serie di doppie curve opposte, concave e convesse;[47] uno di questi esemplari viene esposto alla Biennale di Venezia del 1966.[48] Nel 1967 collabora con Luchino Visconti a La Traviata realizzata alla Royal Opera House di Londra , con Carlo Maria Giulini alla direzione d'orchestra, con protagonisti Mirella Freni , Renato Cioni e Piero Cappuccilli :[49] ; è di Frascà la particolare scenografia, tutta in bianco e nero, con rimandi al liberty e al segno di Beardsley .[50] Nel 1967 nasce la serie dei Rebis , una forma scultorea ottenuta dall'unione di quattro delle sei diagonali del cubo che presenta delle sorprendenti possibilità che si offrono alla percezione: una forma continuamente mutevole al variare della posizione dello spettatore.[51] Tra il 1967 e il 1971, dal Rebis «matrice », Frascà sperimenta possibili combinazioni a 2, 3, fino a 9 elementi,[52] ottenute nei più diversi materiali, presentandone gli esiti in una mostra allo Studio Farnese di Roma.[53] Rebis Daedalus II vince il premio di scultura alla Biennale Internazionale del Mediterraneo di Alessandria d'Egitto;[54] un Rebis in acciaio di grandi dimensioni, come esemplificazione di una proposta progettuale architettonica, viene presentato al Festival dei Due Mondi di Spoleto del 1971.[55] Nel 1966 ha la sua prima esperienza didattica, chiamato da Argan, all'Istituto superiore per le industrie artistiche (ISIA) di Roma, al Corso Superiore di Disegno Industriale e Comunicazioni Visive.[56] Tra il 1968 e il 1970 cura la regia di alcuni documentari per la RAI , per le rubriche L'Approdo e Sapere , sia su protagonisti dell'arte e della cultura (Duchamp , Mondrian , Munch , Céline ), che su movimenti (Futurismo , Movimento operaio ).[57] Per la Olivetti gira il docufilm Informazione leitmotiv - L'informazione è ciò che conta , con protagonista Enzo Jannacci ,[58] unico film di fiction, tra gli oltre 400 film e video commissionati dall'azienda.[59]

    Gli anni '70: dal Kubus al Selbst

    Dalla sperimentazione sul Rebis , attraverso un processo di «distruzione» e di «smontaggio»,[60] Frascà perviene nel 1972 al Kubus , in cui la riduzione sul piano del cubo, in un segno che è contemporaneamente prospetto e sezione, permette ulteriori ricerche sulle ambiguità percettive,[61] favorite dalla presenza di immagini che conservano segni elementari e di archetipi,[62] in una zona di riflessione sulla virtualità del volume che si muove sempre tra conscio e inconscio.[63] Dal Kubus e da altri elementi scultorei/architettonici, Frascà arriva nel 1974 all'Ambiente Prospettico Polivalente (Percorso per esperienze percettive) , una proposta di immersione completa in un'area di 140 metri quadrati per un'altezza di 2,70 metri, composta di un settore bianco e uno nero,[64] in cui lo spettatore viene posto in una costante condizione di dubbio, che ne sollecita l'immaginazione e la ricerca di senso.[65] Tra il 1974 e il 1975 propone le sue ricerche in viaggi in Germania ed in Olanda, dove realizza un modello dell'Ambiente Prospettico Polivalente in scala 1:4 presso lo Stedelijk Museum di Amsterdam .[66] Nel 1975 una mostra itinerante, accompagnata da un impegnativo catalogo, presenta le ricerche svolte tra il 1960 e il 1975;[5] la mostra, tra Roma, Merate , Sanremo , Verona , Como , viene presentata da critici e amici, con dibattiti e performance.[67] Le opere stesse sono infatti dichiaratamente più vicine all'idea dei modelli di ricerca e di indicazioni metodologiche,[68] cioè di progetto, sulle quali discutere e confrontarsi, che alla concezione tradizionale dell'opera d'arte, conclusa e chiusa in se stessa.[69] Tra il 1975 e il 1976 Frascà partecipa ad Operazione Arcevia : il progetto, nato dall'iniziativa dell'architetto Ico Parisi , dell'imprenditore Italo Bartoletti e dei critici Enrico Crispolti e Pierre Restany , consiste nella ideazione di una comunità, che si sarebbe dovuta realizzare in un territorio situato vicino ad Arcevia , un piccolo comune nella provincia di Ancona , attraverso le idee e la collaborazione di pittori, scultori, musicisti, architetti, scrittori, storici dell'arte, psicologi, istituzioni locali.[70] I progetti, cui contribuiscono, tra gli altri, il regista Antonioni , lo sceneggiatore Tonino Guerra , i musicisti Aldo Clementi e Francesco Pennisi , gli artisti Alberto Burri , Carrino , Mario Ceroli , César , Arman , Jesús-Rafael Soto , Francesco Somaini , Mauro Staccioli , lo psicologo Antonio Miotto e il sociologo Aldo Ricci , vengono presenti alla Biennale di Venezia del 1976.[71] Frascà progetta un Ritiro laico ed un Labirinto-percorso per accedervi.[70] Tra il 1976 e il 1977 Frascà costituisce con Paolo Minoli e Antonio Scaccabarozzi il gruppo operativo Interrogazione sistematica .[72] Il gruppo intende, nei propri interventi, operare come si dovesse procedere alla rifondazione di un «ordine del discorso», alla radice del problema del linguaggio della visione, e dove le opere costituiscono uno stadio all'interno di un'operazione «didattica», che espone il proprio processo formativo, orientata alla ricerca di un nuovo spazio-ambiente, su cui interrogarsi e in cui potersi riconoscere.[73] Interrogazione sistematica partecipa a vari interventi, esposizioni e iniziative collettive, tra cui una nella comunità di Gallignano, dove un gruppo di artisti e cittadini ha utilizzato un chiesa sconsacrata per iniziative culturali, e all'esterno della quale Frascà realizza Pala d'altare , un parallepipedo virtuale di grandi dimensioni.[74] Dal 1975 Frascà intraprende stabilmente l'attività didattica, prima all'Accademia di Belle Arti di Carrara , dove tiene il corso di Didattica Artistica,[75] poi, dal 1977, in quella di Roma , dove sarà titolare dell'insegnamento di Teoria della Percezione e Psicologia della forma fino al 1998.[76] Nel 1977 con il GRUPPORIPETTA di Roma espone una serie di progetti e di oggetti di uso comune, «come proposta di Anti-design».[77] Nel 1978 una mostra alla Galleria Lorenzelli di Bergamo e successivamente alla Sala comunale d'arte contemporanea di Alessandria , presenta le ricerche successive all'Ambiente , in cui inizia ad accompagnare le opere esposte con dichiarazioni, testi, messaggi.[78] L'intento di Frascà è sempre più quello di proporre gli aspetti e le strade della sua ricerca aperta nel suo farsi, presentandone i poli di riflessione: i Miti (in particolare le coppie Narciso - Eco , Orfeo - Euridice , Teseo - Arianna , Arianna - Dioniso )[79] , tra cui una serie dedicata ai Narcisi ; le figure legate agli Specchi e figure al limite, quali le Cerniere , le Feritoie , come Soglie; le Frecce , gli Ambienti-Freccia e i Labirinti .[80] Nell'esposizione romana Artericerca '78 presenta Labyrinthus III , una grande installazione in due sale del Palazzo delle Esposizioni , con grandi specchi spezzati posti a terra, e un camminamento al termine del quale lo spettatore, attraverso delle corde, poteva orientare uno specchio posto in verticale: un ambiente in cui venivano intrecciati i miti di Narciso e Orfeo,[81] secondo la pratica, già iniziata nel 1967, delle Orfeizzazioni , in cui la distruzione e/o smembramento dell'immagine non portano alla sua perdita, ma, attraverso la sua moltiplicazione, a nuove possibili ricomposizioni.[82] Nello stesso anno conclude SOGLIE , suo secondo film sperimentale, dedicato a Luchino Visconti , in cui sono montati materiali girati a partire dal 1968, quali «reperti esistenziali».[83] Presentato a Volterra , al Festival del Cinema d'Artista, verrà da allora proiettato assieme a KAPPA .[84] Dal 1978 realizza un ciclo intitolato Selbst (dal termine junghiano , traducibile con Sé ),[85] che presenta l'anno successivo a Forlì , in cui la parola viene incisa, graffiata, sovrapposta, in opere composte con materiali quali carta, scotch, pietra grezza, specchi, plastica, metallo, oro, ferro, rame.[86]

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